In cammino con Dante Alighieri: Divina Commedia a Verona
Ci sono varie tracce di Dante Alighieri a Verona che ricordano la permanenza scaligera del sommo Poeta: esse possono tradursi in una bellissima passeggiata attraverso il centro storico veronese, dove scoprire i luoghi noti e meno conosciuti della città.
Il poeta italiano Dante Alighieri è famoso per la sua poesia “La Divina Commedia”, la quale viene suddivisa in tre parti: Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Dante Alighieri – un poeta e prosatore, teorico letterario e pensatore politico – è considerato da tutti il padre della Letteratura Italiana.
Scrisse numerose opere che parlano di amore, religione, politica, scienza e grammatica: alcune in poesia e in prosa, altre in latino e in volgare.
Dante nacque a Firenze e vi visse fino a quando fu esiliato nell’anno 1302.
Successivamente il poeta soggiornò a Verona, tra gli altri:
- dal 1303 al 1304 in missione diplomatica ed ospite di Bartolomeo della Scala (il quale Dante stesso lo definì “gran Lombardo”), cercando di convincerlo – senza successo – a prendere parte all’alleanza anti-fiorentina assieme ai Guelfi Bianchi, a Bologna e ad altre città romagnole;
- e dal 1312 al 1318 fu ospite di Cangrande della Scala;
- il motivo per cui Dante fu scappato da Firenze per stabilire il proprio soggiorno a Verona è da ricercarsi nel fatto che, nel corso dello scontro tra guelfi bianchi e neri a Firenze, Dante sarebbe stato condannato a morte nel momento in cui i Neri riescono ad avere la meglio in città. Succede proprio nei primissimi anni del 1300, e per l’esattezza nel 1302. Ma di sicuro all’epoca Dante era già via da un pezzo.
A Verona comunque scriverà buona parte del Paradiso, terminato poi poco prima di morire a Ravenna nel 1321.
Piazza Brà ed Arena
Al tempo di Dante non esistevano i palazzi che vediamo ora, c’erano solo l’Arena e le mura medievali sul lato sud della piazza.
A proposito della struttura dell’Inferno: una tradizione veronese sostiene che l’immagine dei gironi era stata ispirata al Poeta dagli anelli dell’Arena, come affermava Jacopo Della Lana nel suo commento al Canto III dell’Inferno.
In tal senso, se si guarda la struttura a gradoni concentrici dell’Arena, non può non venire in mente un paragone con la forma a gironi dell’Inferno dantesco: non sappiamo quando Dante abbia sviluppato questa idea, e se vi sia o meno un’effettiva ispirazione diretta, ma nel suo periodo trascorso a Verona vide senz’ombra di dubbio l’anfiteatro romano ed è affascinante pensare che da lì sia nata la particolare forma dell’Inferno.
Chiesa di San Fermo
Quando Dante arrivò, la città era un immenso cantiere, ricca di fermenti e novità.
I Francescani erano all’opera per rinnovare la Chiesa di San Fermo e darle una forma più consona alla loro visione spirituale: è facile che Dante – il quale amava San Francesco – a quei tempi vi andasse spesso per assistere ai lavori dei mastri.
La chiesa, con soffitto ligneo a carena di nave rovesciata, fu visitata e ammirata da Dante: all’epoca la chiesa stessa era un cantiere in via di definizione.
Pietro, uno dei figli di Dante, scelse di vivere a Verona e non è un caso che i discendenti di Dante – quando si trasferirono dal quartiere di Santa Anastasia al quartiere di San Fermo nel Cinquecento – avessero scelto questa chiesa per collocarvi il loro sepolcro, situato ancor oggi alla destra del transetto, nella Cappella rinascimentale di famiglia Alighieri.
Casa di Giulietta
Dante, in questa terzina del Purgatorio (canto VI, vv.106-108) nomina le tensioni tra Capuleti e Montecchi:
“Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom senza cura,
color già tristi, e questi con sospetti”
In tal senso, Dante invita l’imperatore Alberto d’Austria a venire a vedere la sconfortante situazione in cui si trovava l’Italia, e porta come esempio proprio Verona, insanguinata dalle continue lotte fra i Montecchi e i loro avversari.
Davanti all’ingresso della casa di Giulietta il sogno finisce, la luminosa visione di Dante si offusca: par di sentire le urla di quei veronesi che nel 1200, dall’alto di questa torre, lottavano contro altri veronesi, prima che gli Scaligeri – soprattutto con Alberto Della Scala, padre di Cangrande – ponessero fine alle lotte intestine.
E non è leggenda: questo era il quartiere dei conti di San Bonifacio, nemici storici dei Montecchi (dichiaratamente ghibellini).
Forse Giulietta è un’eroina leggendaria, ma la casa-torre di Via Cappello n.23 apparteneva veramente a una famiglia rivale dei Montecchi: una casa che almeno dal 1300 apparteneva a una famiglia “Cappello”, la cui fazione – chissà – poteva chiamarsi “Cappelletti” o “Capuleti” (molto probabilmente Dante si riferisce a una famiglia guelfa originaria di Cremona).
Quartiere dei Montecchi (Casa di Romeo)
Questo quartiere presso il Ponte Nuovo era controllato dai Montecchi, protagonisti, nella leggenda e nella storia, delle lotte tra fazioni che insanguinarono Verona per tutto il 1200.
Queste case per Dante rappresentavano quindi il presente, quella terribile realtà di cui lui stesso era stato vittima quando la fazione avversa lo cacciò da Firenze. E la stessa sorte toccherà infatti a Romeo, bandito da Verona dopo l’uccisione di Tebaldo, come raccontò nel 1500 Luigi Da Porto, primo autore della celebre storia immortalata, alla fine dello stesso secolo, da William Shakespeare.
Sulla facciata della cosiddetta Casa di Romeo si trova la citazione dell’enigmatico passo della Divina Commedia – terzina del Purgatorio (canto VI, vv.106-108) – in cui Dante parla di Montecchi e Cappelletti vicino ai versi di Shakespeare.
*** CURIOSITA’ ***
Molti ritengono che un passo della Divina Commedia sia la prova che quella di Romeo e Giulietta non è solo una leggenda. Altri pensano invece che sia stato proprio Dante a ispirare la storia.
Si parla del sanguinoso scontro tra Guelfi e Ghibellini in cui Dante stesso rimase coinvolto. Quale potrà mai esser la causa della tristezza che Dante attribuisce alle famiglie rivali Montecchi e Cappelletti?
Palazzo di Cangrande ed Arche Scaligere
Della permanenza di Dante a Verona non se ne parla molto: è stata la sua prima destinazione dall’esilio di Firenze e fu ospitato presso il Palazzo di Cangrande (attuale Palazzo del Podestà).
Ci rimase per almeno sette anni, scrivendovi buona parte della Divina Commedia nella quale si ritrovano molti riferimenti alla città scaligera e ai suoi personaggi storici.
Gli eredi di Dante vivono tuttora a Verona.
Dante allude a Bartolomeo – fratello maggiore di Cangrande, il primo ad ospitarlo nei Palazzi Scaligeri – nel XVII canto del Paradiso. La targa recita:
Queste sono le parole di Cacciaguida, antenato di Dante, il quale gli profetizza l’esilio e l’ospitalità che troverà a Verona.
Il Poeta lo incontrerà in Paradiso nel Cielo di Marte o degli Spiriti combattenti per la fede.
Il gran Lombardo è Bartolomeo Della Scala e viene definito tale dal Poeta perché Verona all’epoca era considerata una città lombarda e ne descrive lo stemma caratterizzato dall’aquila imperiale all’apice di una scala (il santo uccello simbolo dell’Imperatore), il quale lo vediamo scolpito sul sarcofago di Bartolomeo all’interno del complesso monumentale delle Arche Scaligere.
La Scala è lo stemma degli Scaligeri che si vedono sui marmi e sul recinto delle Arche.
Dante non aveva sotto gli occhi le Arche Scaligere, straordinario esempio di un gotico fiorito che viene dal Nord, sorto negli anni Trenta del Trecento, le quali ospitano le spoglie dei Della Scala che sono stati al potere a Verona per 125 anni.
Di sicuro però visitava spesso il Palazzo di Cangrande, assiduamente frequentato da artisti, scienziati e rifugiati politici, come racconta Manoello Giudeo, poeta amico di Dante:
“Baroni e marchesi de tutti i paesi,
gentili e cortesi qui vedi arrivare;
quivi astrologia con philosofia
et de theologia, udirai disputare.”
È molto probabile che Dante abbia anche vissuto in questo palazzo, perché il principe aveva stanze per ogni categoria di ospiti (cavalieri, artisti, mercanti, …). Di certo qui ha mangiato moltissime volte, scambiando battute sagaci col signore scaligero.
In fianco alle Arche Scaligere si trova la tomba del grande amico di Dante, Cangrande I: i due condivisero non solo l’ideale politico ghibellino (lo Scaligero rappresenta per Alighieri quell’ideale di signore la cui forza militare e abilità politica avrebbero permesso di aspirare alla pacificazione dell’Italia intera), ma anche la passione per la poesia.
Nella Chiesa di Santa Maria Antica, tempio privato degli Scaligeri che ospita il noto cimitero pensile, Dante ha sicuramente pregato, vagheggiando giustizia per sé e per il mondo.
Cangrande vive in eterno nel XVII canto della Divina Commedia (vv.70-93):
“Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, sì che ‘suoi nemici
non ne potrai tener le lingue mute.”
Piazza dei Signori e Cortile del Tribunale
Dal 1312 al 1318 Dante è in città, ma era già stato ospite degli Scaligeri sotto la signoria di Bartolomeo nei primissimi anni del ‘300.
Al centro di Piazza dei Signori – nota anche come Piazza Dante – la statua del Poeta, pensoso, testimonia l’utilizzo della figura dell’artista anche per finalità politiche.
L’opera, esposta nel 1865, intendeva celebrare l’Italia unita attraverso il padre della lingua nazionale e venne posizionata al centro della piazza durante la notte per indispettire gli austriaci che ancora occupavano il territorio veronese.
Sul basamento un’iscrizione recita:
“A Dante
lo primo suo rifugio
nelle feste nei voti
concorde
ogni terra italiana
XIV maggio MDCCCLXV
dc. suo natalizio”.
Ed è interessante notare che si tratta di un luogo non comune: la strada romana scavata sotto l’attuale via Dante rivela una vasta area archeologica sotterranea.
Presso il Centro Internazionale di Fotografi a Scavi Scaligeri, sotto il Cortile del Tribunale, all’interno di quello che fu il palazzo di Alberto e di Cansignorio della Scala, si può viaggiare nel tempo percorrendo 1300 anni di storia fra mosaici di ville romane, fondamenta di torri medievali, casette del V secolo d.C. e tombe longobarde dell’VIII: Dante, quindi, calpestava un suolo che nascondeva un concentrato di storia eccezionale.
Ma lui questa importanza storica di Verona comunque l’avvertiva: nel via vai continuo di personaggi rinomati, nei cantieri che stavano innalzando chiese magnificenti, nella vivacità dei mercati.
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Chiesa di Sant’Anastasia
Nel 1428 Dante II Alighieri – figlio di Pietro e nipote di Dante – stabilì per testamento di essere tumulato nell’avello costruito nel primo chiostro della chiesa dei frati Predicatori di Santa Anastasia, inaugurando così la tomba del casato nella quale gli Alighieri seppellirono i loro defunti fino al 1545.
Presso questa chiesa, fra l’altro, sembra ci fosse il primo sepolcro dei discendenti di Dante, quegli Alighieri che due secoli più tardi misero radici in Valpolicella.
*** CURIOSITA’ ***
Sulla navata sinistra – a una decina di metri d’altezza – nella prima campata duecentesca, la più antica dell’intera basilica, recenti restauri hanno riportato in vista quello che resta della decorazione medievale: un affresco che mostra parte del quadrante di un segnatempo monastico e il presunto Dante. Si tratterebbe del primo ritratto del “ghibellin fuggiasco” fuori Firenze.
Casa di Pietro Alighieri, figlio di Dante
Il figlio di Dante, Pietro, abitò proprio di fronte alla Chiesa di Sant’Anastasia, nell’edificio d’angolo ancora oggi riconoscibile dagli archi in stile romanico-veronese, caratterizzati dall’alternanza di tufo e mattoni.
Successivamente, nel 1353, acquistò alcuni terreni in Valpolicella dove ancora oggi, dopo 21 generazioni, il suo discendente Pieralvise Serego Alighieri produce vino.
La cantina Villa Serego Alighieri è la più antica della Valpolicella ancora in uso: posto fiabesco, vigne splendide e grande accoglienza.
Per chi preferisce ad organizzare il tour guidato con degustazione dei vini Serego Alighieri della Masi in cantina.
➤ Potete consultare il sito: “Serego Alighieri”
Chiesa di Sant’Elena – Targa in ricordo della questio de Aqua et Terra
Sulla parete esterna della Chiesa di Sant’Elena – il tempietto accanto al Duomo di Verona – c’è una targa commemorativa che ricorda un episodio della vita di Dante, precisamente il 20 gennaio 1320 quando presentò la “Questio de acqua et terra”, un trattatello filosofico scritto in latino che prese spunto da una contesa tra filosofi medioevali sul livello dell’acqua sulla terra ossia delle terre emerse, con il quale forse sperava di guadagnarsi una cattedra nello Studio, una specie di università, che però fu assegnata al maestro Artemisio.
Biblioteca Capitolare
Negli anni di soggiorno scaligero Dante lavorò alla Commedia, probabilmente presso la Biblioteca Capitolare del Duomo, dove venne composta buona parte del Paradiso.
Nel Convivio e nel De Vulgari eloquentia il poeta cita gli scrittori antichi Tito Livio, Plinio il Vecchio e Frontino, di cui molto probabilmente la biblioteca conservava i codici di Giustiniano – i testi del diritto romano che sono alla base delle leggi della civiltà occidentale.
Anche Giustiniano, infatti, come Boezio, viene collocato da Dante nel Paradiso (canto VI): il suo merito fu l’aver promulgato quelle leggi e aver stabilito così i presupposti per un impero giusto e civile.
La stessa biblioteca, pochi decenni dopo, venne frequentata anche dal Petrarca per studiare testi antichi.
Casa di Giuglielmo Guarenti da Pastrengo in Vicolo Verità
Fra i tanti rifugiati politici, troviamo a Verona anche l’altro pilastro della lingua italiana: Francesco Petrarca.
Amico di Pietro Alighieri, figlio di Dante, il poeta toscano soggiornò spesso qui, nella casa dell’amico Guglielmo Guarienti da Pastrengo, con il quale condivideva l’amore per i classici e le scoperte che faceva presso la vicina Biblioteca Capitolare.
Legame tra Dante e Petrarca
Il padre di Petrarca, inoltre, era amico di Dante e fu esiliato da Firenze per gli stessi motivi politici. Anche Petrarca, dunque, se da una parte conobbe l’esilio, dall’altra godette del favorevole clima culturale che si era instaurato a Verona: entusiasta del mondo umanistico che intravedeva nei testi classici scoperti a Verona, trovò rinnovato vigore nella sua ricerca culturale e nel suo impegno per riportare la pace in Italia.
Corte delle Sgarzerie
Nell’opera di Boccaccio “Vita di Dante”, la corte medievale delle Sgarzerie dove allora si lavorava la lana, nell’immaginario collettivo fa da sfondo all’aneddoto raccontato dal Boccaccio stesso sui pettegolezzi di alcune donne di Verona: quando esse vedevano passare Dante Alighieri, una di loro indicava il Poeta come colui che va all’Inferno e torna carico di racconti sui defunti, mentre un’altra rispondeva “non vedi tu come egli ha la barba crespa e il color bruno per lo caldo e per lo fummo che è la giù”.
Secondo il Boccaccio, Dante sorrideva e passava avanti.
Il Palio del Drappo Verde a Verona – Porta Borsari
Dante vide anche il famoso Palio del Drappo Verde che per secoli si corse nella città scaligera.
L’immagine della moltitudine di uomini che, per aggiudicarsi un prezioso drappo di lana verde, correvano a perdifiato sullo sterrato dell’antica Via Postumia – ossia il tratto finale nel corso rettilineo tra l’odierna Porta Palio e Santa Anastasia – dovette impressionare il poeta, il quale la usò per descrivere il supplizio del girone in cui incontra Brunetto Latini.
La targa cita alcuni versi dell’Inferno (nel canto XV, vv. 121-124) in cui Dante fa riferimento al Palio del drappo verde, una corsa istituita nel 1208 e sospesa solo dall’arrivo dei francesi nel 1796 (nel 2008 questa antica tradizione è ripresa). Il testo recita:
Portale in bronzo della Basilica di San Zeno
Alcuni, con maggiore fantasia, hanno persino ipotizzato che la descrizione della tremenda porta dell’Inferno sia stata suggerita al poeta dal Portale in bronzo di San Zeno.
Dante conosceva bene l’Abbazia di San Zeno, tanto che nel Purgatorio (canto del Purgatorio – XVIII, vv. 118-120) incontra un suo vecchio abate:
“Io fui abate in San Zeno a Verona
Sotto lo ‘mperio del buon Barbarossa,
di cui dolente ancor Milan ragiona”.